lunedì 6 marzo 2017

“Clash royale” e i giochi per telefonino, la nuova droga dei teenager: rovinano pagella e portafogli

Teo, 11 anni, prima media iniziata da poco, ha un grosso problema. La sua famiglia ha appena scoperto che negli ultimi tre mesi ha sottratto a parenti e amici oltre 300 euro. Soldi finiti in iTunes Gift Card Google Play Card e, tramite queste, utilizzati per “shoppare” (cioè comprare) avanzamenti nel suo gioco preferito: “Clash Royale”.

Si tratta dell’applicazione gratuita (tecnicamente un MMORPG: Online Role-Playing Game, ovvero gioco di ruolo in rete multigiocatore di massa) per cellulare più diffusa – insieme al fratello più attempato “Clash of Clans” – tra i bambini dagli otto anni in poi. Nel 2016  “Clash” creato dall'azienda finlandese Supercell è stato il secondo videogame più redditizio al mondo per app store e Google play e ha portato nelle casse di Supercell oltre un miliardo di dollari.
Parliamo di un mercato, quello dei giochi per mobile, che nel 2016 ha sviluppato un giro d’affari di 99,6 miliardi di dollari e che cresce a ritmo del 10% anno su anno. Asia e Area pacifica da sole raccolgono il 47% del gioco totale (46,6 miliardi), il Nord America è il secondo mercato con il 25%, seguito da Europa, Medio Oriente e Africa, America Latina (dove però il ritmo di crescita è stato del 20%). Ogni giorno centinaia di milioni di teenager giocano tra loro, sfidandosi e concorrendo per scalare le classifiche mondiali a suon di booster, cioè aiutini che si comprano online.

Molte app per bambini, come “Clash of Gems” e ragazzi sono basate anche su di “aiutini” a pagamento per velocizzare il gioco: comprando le gemme…... si apre subito il forziere invece di aspettare molte ore.

Secondo l’ultimo rapporto di Idc e App Annie i giochi per smartphone e tablet assorbono circa l’80% della spesa nei negozi virtuali e i giocatori avrebbero speso nel 2016 il 25% in più rispetto all’anno precedente.
Tornando a Teo, la sua famiglia, molto preoccupata, oltre al “cazziatone”, lo porterà da un terapista per combattere quella che per lui è diventata una vera dipendenza da videogiochi.
Ma il caso di Teo non è affatto isolato. A gennaio i giornali hanno raccontato la storia di un 16enne comasco che tra bauli magici, pozioni, streghe e goblin, ha sperperato in “Clash of clan” ben 2.600 euro. Tutti fondi sottratti di nascosto dal suo conto Poste pay, sul quale i genitori versavano i suoi risparmi, le mancette e i soldi della cresima.
«Queste due storie non mi sorprendono affatto. Io stesso la settimana prossima vedrò un ragazzo che ha speso 12.000 euro in giochi. Soldi che lo hanno fatto arrivare nelle prime cinque posizioni del ranking mondiale di Clash Royale», racconta il dottor Edoardo Colombo, il medico che dal 1993 si occupa di prevenzione delle dipendenze tecnologiche. «La dipendenza da questo tipo di gioco – i due Clash in particolare – è un fenomeno in crescita tra i più giovani e purtroppo ancora non studiato. Sono applicazioni concepite per spingere l’utente a giocare in modo continuo, fino a quando la sfida non diventa impossibile e allora si può solo abbandonare il gioco o acquistare gli avanzamenti».
Il processo, spiega sempre Colombo, è stato scientificamente studiato dagli sviluppatori: le applicazioni sono gratuite e all'inizio hanno una soglia di ingresso (cioè di difficoltà di gioco) molto bassa. Una volta iniziato a giocare, per non perdere la posizione in classifica duramente conquistata, il giocatore è costretto a “presidiare” il campo in continuazione, perché i “nemici” potrebbero attaccare mentre l’utente è offline; infine, per superare sfide che diventano sempre più impossibili, il giocatore deve “shoppare”, cioè spendere. Piccole somme, ma in continuazione. In un circolo che non avrà mai fine.
Ma quali strumenti ha una famiglia che si accorge che il proprio minore ha preso una brutta strada?
Di solito, in caso di dipendenze di qualunque tipo – droga, alcol, gioco – le famiglie che hanno disponibilità economica, si rivolgono a un terapeuta privato, sono molti e hanno ormai un’esperienza consolidata.
In casi come quelli di Teo e del 16enne la situazione è molto più complicata. «I miei colleghi hanno poca esperienza e poca consapevolezza del fenomeno. La tecnodipendenza è un fenomeno nuovo e sottostimato, sebbene si ritenga che in Italia almeno l’8% dei teenager ne sia colpito. Non è ludopatia – perché i ragazzi giocano sì soldi, ma non per fare altri soldi -, né è semplice dipendenza da videogiochi, perché qui siamo oltre, essendoci di mezzo somme di denaro. Insomma, è una terra ancora inesplorata».
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E per Colombo è necessario che il mondo scientifico si svegli e inizi a indagare seriamente su queste nuove dipendenze, prima che i buoi scappino definitamente dalla stalla. Non solo, «bisogna iniziare a formare anche terapisti che sappiano di ciò che stiamo parlando, cioè che giochino ai videogame», avverte, «solo così possiamo essere ascoltati dai ragazzi. Dobbiamo parlare il loro linguaggio per essere credibili».
Una buona dose di responsabilità va addebitata anche a quanti vendono tecnologia «che devono essere responsabilizzati», sottolinea Colombo. Oggi infatti non c’è alcun controllo. Teo, per esempio, nei tre mesi di furti in casa, si è recato regolarmente nel negozio di elettronica sotto casa dove ha comprato liberamente le iTunes Gift Card senza che nessuno si insospettisse per tutti quegli acquisti effettuati da un 11enne dalle apparenti infinite possibilità economiche. «Si dovrebbero porre delle limitazioni alla vendita indiscriminata di queste carte, magari fissando il divieto ai minori di 14 anni. Purtroppo però in questo ambito la giurisprudenza è indietro anni luce e non c’è alcun controllo».
Che serva più attenzione è indubbio, anche perché le conseguenze di questa nuova dipendenza, portafogli e rendimento scolastico (che di solito crolla) a parte, possono essere tragiche. Se infatti il bambino che cade nel loop degli acquisti online viene da una famiglia con mezzi materiali, finirà probabilmente come Teo da uno psicologo privato.
Se invece proviene da una famiglia in difficoltà, per procurarsi il denaro necessario per aprire bauli e ottenere carte leggendarie, potrà più facilmente diventare vittima dei tanti piranha che sguazzano nel lato oscuro del web. Insomma, a pagare più caro potrebbero essere quelli che hanno meno.
Fonte: Repubblica.it

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