lunedì 7 luglio 2014

La fuga verso il Bosforo dell’ex salvatore della Patria

La nave stava ancora affondando e il primo a scendere è stato il comandante. Cesare Prandelli ricorda qualcuno. La delusione più grande della deludente spedizione degli azzurri ai Mondiali brasiliani ha un nome e un cognome. L’ex ct della Nazionale se n’è andato, insalutato ospite, con un contratto plurimilionario con il Galatasaray. Nemmeno il tempo di «elaborare il lutto», nemmeno la cortesia di spiegare perché le cose sono andate storte (la preparazione? la scelta degli azzurri? la formazione? la tattica?) che già Prandelli è in Turchia. Prenderà il posto di Roberto Mancini, casa a Istanbul con veduta sul Bosforo, tanti soldi, poche tasse. E chi s’è visto s’è visto.
A noi le rogne, le presunte colpe di Mario Balotelli, la figuraccia indegna, le liti nello spogliatoio, l’inutile convocazione di Antonio Cassano, i clan, le divisioni e tutto il resto.
D’un tratto, l’immagine dell’uomo che per mesi ci era stato descritto come una sorta di salvatore della patria, di interprete ideale dei sogni renziani, di baluardo contro il razzismo (con il premier aveva mangiato una banana per sfruttare l’onda mediatica del gesto di Dani Alves), crolla miseramente. Eppure il processo di beatificazione era stato imponente: Prandelli buono, gentile, persino pretesco. Prandelli da copertina, sempre accompagnato dalla bella fidanzata Novella Benini. Prandelli dialogante con i calciatori (così pareva). Prandelli sempre a disposizione dei giornalisti (specie di quelli portati all’agiografia), Prandelli tutore in Nazionale del codice etico (con interpretazioni molto disinvolte, secondo le opportunità).
Quello che va riconosciuto a Prandelli è di essere riuscito a personificare, nel contempo, sia l’astuzia di Odisseo che l’autostima di Telemaco, di aver messo in piedi una straordinaria operazione di marketing, di aver usato l’etica come carro di Tespi. Da allenatore, Prandelli non ha vinto nulla, il suo palmarès è vuoto, come quello di tanti altri allenatori. Eppure sui media si strillava al «santo subito». Così, per non farsi sotterrare da una montagna di critiche (l’apologeta tradito non perdona), si è inventato la fuga alla turca, forse preparata in anticipo. 
Prandelli d’Italia, l’Italia s’è desta? La nave stava ancora affondando e il primo a scendere è stato il comandante. Cesare Prandelli ricorda qualcuno. La delusione più grande della deludente spedizione degli azzurri ai Mondiali brasiliani ha un nome e un cognome. L’ex ct della Nazionale se n’è andato, insalutato ospite, con un contratto plurimilionario con il Galatasaray. Nemmeno il tempo di «elaborare il lutto», nemmeno la cortesia di spiegare perché le cose sono andate storte (la preparazione? la scelta degli azzurri? la formazione? la tattica?) che già Prandelli è in Turchia. Prenderà il posto di Roberto Mancini, casa a Istanbul con veduta sul Bosforo, tanti soldi, poche tasse. E chi s’è visto s’è visto.
A noi le rogne, le presunte colpe di Mario Balotelli, la figuraccia indegna, le liti nello spogliatoio, l’inutile convocazione di Antonio Cassano, i clan, le divisioni e tutto il resto.
D’un tratto, l’immagine dell’uomo che per mesi ci era stato descritto come una sorta di salvatore della patria, di interprete ideale dei sogni renziani, di baluardo contro il razzismo (con il premier aveva mangiato una banana per sfruttare l’onda mediatica del gesto di Dani Alves), crolla miseramente. Eppure il processo di beatificazione era stato imponente: Prandelli buono, gentile, persino pretesco. Prandelli da copertina, sempre accompagnato dalla bella fidanzata Novella Benini. Prandelli dialogante con i calciatori (così pareva). Prandelli sempre a disposizione dei giornalisti (specie di quelli portati all’agiografia), Prandelli tutore in Nazionale del codice etico (con interpretazioni molto disinvolte, secondo le opportunità).
Quello che va riconosciuto a Prandelli è di essere riuscito a personificare, nel contempo, sia l’astuzia di Odisseo che l’autostima di Telemaco, di aver messo in piedi una straordinaria operazione di marketing, di aver usato l’etica come carro di Tespi. Da allenatore, Prandelli non ha vinto nulla, il suo palmarès è vuoto, come quello di tanti altri allenatori. Eppure sui media si strillava al «santo subito». Così, per non farsi sotterrare da una montagna di critiche (l’apologeta tradito non perdona), si è inventato la fuga alla turca, forse preparata in anticipo. 
Prandelli d’Italia, l’Italia s’è desta? 
Fonte: www.corriere.it

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