lunedì 19 giugno 2017

Quei genitori diventati avvocati dei loro figli

Caro direttore, 
ma come abbiamo fatto, noi nati negli anni Quaranta e Cinquanta, a sopravvivere a qualche titolo di «imbecille» urlatoci dalle maestre, o a una bacchettata sulle mani o, addirittura, a qualche scappellotto quando l’avevamo combinata grossa? Eppure siamo diventati buoni cittadini in percentuale decisamente superiore a molte generazioni che ci hanno seguito. Ma oggigiorno questi metodi educativi sono considerati da querela. Oggi, anche per le piccole canaglie che ti prendono a calci o insultano e poi ghignando e ti dicono «Tanto non puoi farmi niente», evidentemente devi accondiscendere a tutto, inseguire i loro capricci, esaudire le loro stravaganze, abbozzare alle loro maleducazioni, soddisfare le loro angherie. Molto bene, educhiamoli così. E otterremo generazioni di giovani fragili, viziati, spocchiosi, privi di empatia. 
Daniele Carozzi dan.carozzi@tiscali.it

Caro signor Carozzi, 
Forse lei esagera un po’ nella descrizione dei nostri ragazzi. Ne conosco tantissimi che studiano con serietà e altrettanti che, purtroppo, passano anni tra uno stage e un altro tipo di contratto precario alla ricerca della loro occasione. Con toni un po’ forti però lei coglie un punto che dovrebbe far riflettere più i genitori che i figli. Nel dopoguerra abbiamo vissuto in famiglie con regole rigidissime (in particolare per le ragazze) dove quasi niente era permesso. Abbiamo frequentato scuole in cui maestri e professori avevano sempre ragione, anche quando usavano metodi discutibili. In casa la reazione di padri e madri era la stessa, invariabilmente: «Se il professore ha fatto così significa che lo meritavi». 
Ora leggiamo sui giornali di genitori che si presentano a scuola ad aggredire i docenti colpevoli di non aver dato il voto giusto, secondo loro, ai propri figli, che organizzano assemblee per contestare maestri troppo severi. Insomma padri e madri che si trasformano in avvocati difensori degli studenti: alcune volte in senso letterale ricorrendo ai giudici dei tribunali amministrativi. Comportamenti che non aiutano certo i ragazzi ad assumersi le loro responsabilità, a crescere sapendo che un brutto voto o un rimprovero possono essere momenti importanti per comprendere gli errori e ripartire meglio. Non parliamo poi dei genitori che passano i pomeriggi a studiare con i figli o addirittura a sostituirli nello svolgimento dei compiti. 
Siamo iperprotettivi nell'immediato con i ragazzi e qualche volta molto egoisti rispetto al loro futuro. Altrimenti come è stato possibile che nella nostra società esistano dipendenti di una certa età ultra protetti e giovani a cui vengono riservati solo «lavoretti»?
Fonte: Luciano Fontana @ Corriere.it

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