martedì 12 gennaio 2016

Niente scherzi, siamo in ufficio

Quanti di voi fanno oggi ancora scherzi ai colleghi in ufficio, tipo mandare una email dalla posta di un collega che ha temporaneamente abbandonato la postazione, fare una telefonata a un vicino di stanza spacciandosi per un altro, imitare sempre al telefono la voce del capo irato
Piccole zingarate innocenti che poi, svelato l’arcano, non facevano male a nessuno, neppure alla presunta vittima, ma contribuivano ad alleggerire l’atmosfera e a prendere con maggior filosofia anche i passaggi più urticanti della vita lavorativa?
Negli uffici non si scherza più, il famoso posto fisso tanto agognato dall’italian boy protagonista di «Quo vado» è diventato luogo vietato per le battute, la beffa gioiosa, la burla senza malanimo, la derisione lieve, messi al bando da quella generazione di Millennials che non solo non capiscono lo scherzo ma che, anche in presenza di spiegazione, non si divertono, al massimo abbozzano un sorrisetto. Anche qui il discrimine è la questione generazionale, almeno secondo Lucy Kellaway, giornalista di lungo corso al Financial Times e autorità in materia in quanto profonda conoscitrice dei meccanismi che si scatenano in ufficio, a cui ha dedicato libri e qualche incursione satirica. Sua l’intuizione che ha poi testato con un gruppo di cosiddetti tirocinanti, apprendisti giornalisti con contratto a termine. E al termine dell’indagine casalinga ha intonato un de profundis per quella voglia di scherzo malandrino che ancora attraversava la generazione precedente e che non solo alleggeriva la situazione ma contribuiva anche alla produttività in azienda. E difatti una ricerca Sda Bocconi del 2009, realizzata da Marco Sampietro con interviste a 1.860 impiegati, concludeva proprio così: una battuta vi risolleverà gli animi e vi farà lavorare meglio. A volte addirittura faceva svoltare la vita, come è successo proprio a Lucy Kellaway, che agli inizi della carriera spesso riceveva telefonate di protesta da un collega che faceva finta di essere uno dei suoi intervistati poco contento dell’ultimo articolo. E mentre lei balbettava e arrossiva gli altri colleghi si godevano la scena attraverso l’open space. Ma nessun rancore, quel giornalista burlone è poi diventato suo marito.
Adesso lo scherzo latita soprattutto fra i giovani, per vari motivi, primo la prevalenza del pensiero politically correct, che inibisce il pensiero laterale, imbriglia le coscienze, mortifica l’inventiva e lo sberleffo. In generale si sta tutti più in riga, timorosi di offendere, aldilà del singolo, qualche intera categoria. Altro motivo è la pervasività della modalità social: da Internet alle email c’è una vita online così incessantemente presente che spesso non permette un’opportuna leggerezza collaterale.
Che fare dunque, dire addio a quei racconti leggendari di gruppi di amici votati alla canzonatura che hanno alimentato la storia della letteratura e del cinema? Alle allegre zingarate all’Amici Miei, e tanto più alle angherie impiegatizie come quelle subite dal ragionier Fantozzi? Ma anche alle fantasiose architetture scherzose dell’artista scrittore Emilio Tadini (ai «danni» di personaggi come Pablo Picasso o Umberto Eco), o alle implacabili burle telefoniche dell’accoppiata Della Valle/Montezemolo. Oggi, al massimo, ci possiamo accontentare delle più grevi provocazioni delle due zanzare Cruciani&Parenzo.
Fonte: www.corriere.it

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